Wolf Vostell. L’immaginario “fluxus” all’Auditorium di Roma

Wolf Vostell, Fondazione Mudima, 1990

“Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi.”. Quante volte abbiamo sentito e ripetuto la celebre battuta di Rutger Hauer, alias Roy Batty, nel celebre film Blade Runner, del regista britannico Ridley Scott? Migliaia di volte? Eppure se state passeggiando per la Rathenauplatz di Berlino a stento riuscirete a non proferirla nel vedere Beton- Cadillacs una delle sculture più peculiari di Wolf Vostell.

Wolf Vostell, Beton-Cadillacs, Rathenauplatz, Berlino

“Ma niente di straordinario!”, oserei dire. Nelle opere d’arte sono apparsi, qua e là nel tempo, sangue, fogli di giornali, spartiti musicali, sabbia, legno, libri, stracci e altre cose: frammenti di prodotti quotidiani rielaborati e trasformati dagli artisti in presenze forti e suggestive, che hanno prodotto stupore e sconcerto in chi li osservava, come i lavori dell’artista tedesco, che mescolano situazioni reali e immaginarie.

From: Sara Jevo 3 Fluxus Pianos, 1994, (dettaglio)

In mostra all’Auditorium Parco della Musica di Roma, dal 19 novembre 2010 al 9 gennaio 2011, l’operato di Vostell esaspera linee e figure, immagini e oggetti; coniuga insieme elementi di provenienze diverse, come la moto “in sella” a un pianoforte in Sara Jevo 3 Fluxus Pianos, attinge elementi dai nuovi media, dal mondo, dalla Germania, dalla Berlino degli anni Sessanta, con la sua forte connotazione politica e dalla storia dell’arte, riproponendo una personale visione della Venere di Urbino di Tiziano. Frammenti di giornali, fotografie deturpate con macchie violente di pittura; automobili, televisori, apparecchi radiofonici, materiali accanto ad altri materiali, oggetti accanto ad altri oggetti: come integrare l’arte nella vita?

Wolf Vostell al lavoro

Come creare un influsso della vita nell’arte? Eh già! Perchè è di concretezza che si parla! Il reale per Wolf Vostell non è soltanto esclusivamente soggetto di una rappresentazione, ma materia viva e plasmabile; pretesto di confronto sui temi e i prodotti della quotidianità. Da qui i primi happening e le prime azioni fluxus, che coinvolsero artisti americani ed europei nella presentazione di un’arte totale e di una diversa modalità del fare artistico che, nel connettere musica, poesia, arte visuali, danza, teatro, gesti e azioni quotidiane e banali, suoni e rumori, voleva dare all’arte un rapporto con la vita. L’appuntamento all’Auditorium, in relazione al progetto Fluxus Biennal curato da Achille Bonito Oliva, rende omaggio ai fluxers, fra i quali l’italiano Giuseppe Chiari, e si propone di ripercorrere e riproporre una rilettura dell’estetica “intermedia”dell’evento fluxus, dove fischi di teiere, ticchettii di macchine da scrivere , soffi di palloncini, trasportavano il rumore della vita in un contesto culturale e per poi essere isolato e organizzato in musica. Oggi più che mai arte e vita si fondono: l’incontro con l’opera di Vostell, non facile da sintetizzare, può anche essere letto come un invito allo spettatore a formare le proprie visioni in maniera attiva, plurisensoriale e costruttiva, perchè, non me ne voglia Rutger Hauer, “non è tempo di morire”.

Deutscher Ausblick, dal ciclo Schwarzes Zimmer, 1958/59, Dé-coll/age




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