Le memorie lontane di Giorgio De Chirico e Fabio Mauri in mostra a Trieste

Il sogno trasformato, Giorgio De Chirico, 1913

C’è stato un tempo un poeta di nome Omero che cantava di gesta, di eroi e di ingegni; narrava di Ulisse e Penelope, di avventure strepitose e di guerre.

Melanconia, Giorgio De Chirico, 1912

C’è stato, invece, un uomo che, affascinato dal re di Itaca e lontano dalla sua terra, dipingeva di enigmi, rivelazioni e silenzi. Su uno sperone carsico a dirupo sul mare, vicino la città di Trieste, sorge il Castello di Miramare, l’antica dimora dell’arciduca Ferdinando Massimiliano d’Asburgo e la consorte Carlotta del Belgio, le cui Scuderie, odierno Museo Storico a 7 km dal capoluogo friulano, ospiteranno dal 3 dicembre 2010 al 27 febbraio 2011, la mostra Giorgio De Chirico. Un maestoso silenzio. Curata da Roberto Alberton e Silvia Pegoraro, l’esposizione prende avvio con i capolavori degli anni 10 del Novecento, L’enigma di un pomeriggio di autunnoLa torre rossa fra gli altri, e ripropone tutto il percorso creativo dell’artista greco – italiano, che attraverso una sottile combinazione di segni, oggetti e luoghi, ha saputo creare visioni oniriche enigmatiche e affascinanti.

Le muse inquietanti, Giorgio De Chirico, 1917

Spazi aperti, vuoti, deserti, le piazze incantate e autunnali di Torino, Ferrara e Firenze si animano di personaggi silenziosi, di statue sognanti, di poeti e politici assopiti, dove le suggestioni dei soggiorni italiani si confondono con i ricordi della Grecia natia: i miti, la cultura classica, la filosofia. Oggetti privi di senso, ombre, manichini inquietanti, frammenti naturali con i segni del tempo: l’universo presentato da De Chirico, è il mondo visto dal di dentro; è il paese perduto dell’infanzia; il mondo malinconico e nostalgico dell’Ulisse omerico. Spazi invisibili si aprono dietro orizzonti serrati e chiusi da mura inaccessibili o da torri altissime dove il pennacchio di fumo della locomotiva, come ne Il sogno trasformato, rievoca l’inquietudine di una partenza.

Muro Occidentale o del Pianto, Fabio Mauri, 1993, Studio Fabio Mauri

E di partenze e di addii, anche, si parla nei lavori di Fabio Mauri, anche essi in mostra al Castello di Miramare, che svelano e celano il dramma degli amici ebrei, mai più tornati nella loro “Itaca”. Curata da Roberto Alberton e Studio Fabio Mauri e parte del progetto Dalla Metafisica all’Arte, la mostra Fabio Mauri, Un sognatore della Ragione ripropone, proprio nella città di Trieste, in cui si trovava la Risiera di San Sabba, un lager nazista, 9 grandi installazioni fra le più importanti dell’artista romano, che dagli anni ’50 ha raccontato la storia mai dimenticata della Seconda Guerra Mondiale.

Cina Asia Nuova, Fabio Mauri, 1996, Studio Fabio Mauri

Nel famoso Muro Occidentale o del Pianto, esplicito riferimento al Muro del Pianto di Gerusalemme, valigie a bauli vuoti degli anni Trenta e Quaranta, ammassati, incastrati ed eretti al suolo, diventano simbolo di un’erranza e’di un’assenza; incarnano il dolore per una perdita. E’ una perdita dal sapore moderno come le incresciose vicende nel 1989 di Piazza Tienanmen a Pechino e le successive esecuzioni, ricordate metaforicamente, attraverso il muro di valigie di metallo, nell’installazione Cina ASIA Nuova del 1996. E il passato riprende forma nell’installazione I numeri malefici del 1978, dove l’errore di calcolo e di giudizio diventa criterio di interpretazione dell’uomo e della storia. Muri e schermi: le installazioni, in mostra, di Fabio Mauri, come le torri dechirichiane, “serrano” la visione, lasciando spazio agli stati d’animo, ai ricordi e all’immaginazione.

I numeri malefici, Fabio Mauri, 1978, Studio Fabio Mauri




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