Al MONA di Hobart l’arte è vietata ai minori di 18 anni

Brett Whiteley, The Naked Studio, 1981 @ David Walsh

Sesso e morte”. Non è una trovata pubblicitaria né il titolo di un saggio di psicologia, ma la tematica fondante la collezione di opere d’arte del multimilionario ed eccentrico giocatore d’azzardo David Walsh. Dopo l’inglese Charles Saatchi il mondo artistico contemporaneo dovrà fare i conti con il “pericoloso” collezionista australiano che nel 2006 riuscì ad assicurarsi The Bar di John Bracks a un’asta da Sotheby per circa tre milioni di dollari, lasciando con un pugno di mosche i funzionari della National Gallery di Victoria, per poi rivendergli l’opera, alla stessa cifra, nel 2009.

Chris Ofili, The Holy Virgin Mary, 1996 @ David Walsh

Non è stato per vanitas né per capriccio, l’opera dell’artista australiano poteva essere parte integrante della collezione permanente del Museum of Old and New Art: il personalissimo museo di David Walsh, situato nella piccola e pittoresca Berriedale, vicino Hobart in Tasmania. MONA è il più grande museo privato australiano, il cui progetto architettonico ha un valore di settantacinque milioni di dollari e si aprirà al pubblico il 22 gennaio 2011 con la mostra Monanism. La passione di Walsh per l’arte è un coinvolgimento serio e impegnativo. La sua missione? Cambiare il modo di vedere e di rapportarsi degli australiani all’arte contemporanea. Impresa non facile di sicuro, ma soprattutto ambiziosa e pretenziosa che, già nel titolo di apertura “Monanism” si preannuncia come tendenza. Tanto per cominciare la struttura in acciaio realizzata dall’architetto più famoso di Melbourne, Fender Katsalidis, ospiterà su tre livelli l’intera collezione, che spazia da opere dell’antichità a opere del modernismo australiano, includendo alcuni dei lavori più provocativi degli Young British Artists.

Jake & Dinos Chapman, Great Deeds Against the Dead, 1994 @ David Walsh

Un esempio? Il dipinto The Holy Virgin Mary di Chris Ofili, ovvero, una Madonna nera e africana, circondata da sterco di elefante e da close-up di organi genitali femminili ritagliati da riviste pornografiche, che fu presa a colpi di vernice bianca da un cattolico praticante nel corso di una mostra al Brooklyn Museum of Art di New York, nel 1999. Ma per David Walsh provocare significa suscitare interesse per il fare artistico tout-court; stimolare lo spettatore attraverso opere che smascherano i meccanismi che fondano le regole della condizione umana: la ricerca del sesso e il rifiuto della morte; il bisogno del primo e la paura dell’altra; attrazione e repulsione. Così oltre alla Vergine Maria di Ofili, lo spettatore si confronterà con le opere di Egon Schiele, Damien Hirst, Jenny Saville e di Jake e Dinos Chapman, e non solo. David Walsh ha, inoltre, garantito un sovversivo Disneyland per adulti: il MONA si situa, infatti, nell’area di Moorilla, dove il magnate ha avviato uno stabilimento per la lavorazione del vino, una fabbrica di birra e un lussuoso ristorante. E, così, mentre gli australiani si divertono noi aspettiamo impazienti l’auspicato stravolgimento del “way of seeing”.

Jenny Saville, Matrix, 1999 @ David Walsh



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